Al tramonto d’un secolo breve quanto sterminato, Elegia Sanremese brillò come una Supernova. In apparenza spenta, da allora continua a emettere invece segrete radioattività fossili. Ne era autore il più erudito il più splenetico il più esoterico dei poeti, quello che un destino iperletterario, e hilarotragicamente epigrafico, se l’è scritto nel nome: Tommaso Ottonieri. Concept album se ce n’è uno, Elegia Sanremese – col parodiare inVersa le sublimi Duinesi di Rilke, che il Novecento iscrivevano nell’Autentico da cercare nella Povertà – il tempo di dopo la fine, morto di fame di smodata Ricchezza, spettrografava come Regno del Posticcio: indovinandone la più compiuta, la più autentica espressione nella canzonetta sanremese. Cos’è infatti la Canzone, che usurpa il nome dai più siderali costrutti Provenzali e post-tali banalizzandone dispositivi metrici e sempiterne ossessioni, se non appunto una contraffazione della poesia? Con crudeltà millimetrica l’Ottonieri ritorceva la parodia sui musicarelli, all’impazzata remixandoli coi lacerti più squisiti di quel Canone Estinto che vi era per tempo colliquato (i «24mila baci», delle memorie d’Adriano, nient’altro che un Catullo for dummies). Così che l’«aria di vetro» di Montale può stare a pigione nella «casetta piccolina in Canadà»: in un labirinto di copie, e copie di cover, che – vent’anni dopo e più – ancora e sempre è il nostro. Ma con terrore d’ubriaco il dj metafisico di questo Juke Box all’Idrogeno, nonché stigmatizzare quel repertorio «trash’endente», da quell’ipnotica melma sonora si scopre medusato. Spedito in uno Shining rivierasco a fare il kulturkritik da un accigliato giornale di sinistra, e ridotto ormai a «bulbo videodromico», l’Ottonieri vagheggia il corpo ultrafanico della modella cèca sul palco dell’Ariston. E in un altro suo lp, L’album crèmisi, lamenta «come tutto ciò che è solido nell’Aperto si sfarina!» (contaminando Marx, già, con l’Ottava Elegia) – per concludere, però: «Tanto profondamente amiamo quello che ci colonizza». Mentre qui scandisce che «il solo amore vero / è quello che si perde». Perché – la verità fa male, lo so – quello che si perde è quello che ci perde. Andrea Cortellessa
- 978-88-9380-182-9
- 2022
- €15.00
Tommaso Ottonieri (1958) ha pubblicato: in prosa, Dalle memorie di un piccolo ipertrofico (1980, prefazione di Edoardo Sanguineti), Coniugativo (1984), Crema acida (1997), L’album crèmisi (2000), Le strade che portano al Fùcino (2007, con scritti di Enrico Ghezzi, Gilda Policastro e Andrea Cortellessa); in versi, Elegia Sanremese (1998, prefazione di Manlio Sgalambro), Contatto (2002), Geòdi (2015); in critica-teoria, La plastica della lingua: stili in fuga lungo un’età postrema (2000); numerosi inoltre, a partire dagli anni dell’esordio, i contributi su riviste, volumi antologici, plaquettes varie, siti web, opere collettive (fra queste ultime: Bassa Fedeltà: l’arte nell’epoca della riproduzione tecnica totale, a sua cura, 2000), e in radiofonia.