Emilio Cecchi
FIRENZE
Prefazione di Pietro Citati
«Oggi è un libro dimenticatissimo. Nemmeno i lettori di Cecchi lo conoscono. Ma è un libro bellissimo: uno dei grandi testi italiani del secolo scorso; di straordinaria cultura, immaginazione, intelligenza psicologica, intelligenza stilistica, assonanze, rotture, dono mitico. Da Giotto a Fra’ Angelico, Lorenzo il Magnifico, Leonardo, Guicciardini, Pontormo, Magalotti, quasi tutte le principali figure della civiltà fiorentina appaiono e rimangono impresse nella nostra memoria. La Firenze di Cecchi… è soprattutto la Firenze del quindicesimo secolo, quando scolpivano e dipingevano Donatello e Pollaiuolo. “La piccola polis rinascimentale, la città quasi portatile, dove tutto quello che esiste e che serve è lì sotto mano; dove si può dire che tutti si conoscono se non sono addirittura imparentati; e tutta l’esperienza è esemplificativa, e sta nel giro della sensazione. La città socratica, puntigliosa come un alveare, nitida come una tavola pitagorica, esatta come uno schedario”».
Pietro Citati
- 978-88-8419-922-5
- 2017
- €20.00
Emilio Cecchi (Firenze, 1884-Roma, 1966) ha scritto la storia della critica letteraria e del giornalismo culturale italiano della prima metà del Novecento. Partecipò al movimento vociano e fu poi tra i fondatori della «Ronda». Nel corso degli anni collaborò con «Il Marzocco», «Dedalo», «Leonardo», «Nuova Antologia», poi «L’Italia letteraria» e anche con «L’Europeo». Firmò su molti quotidiani, da «La Tribuna» al «Secolo» a «La Stampa»; fu inviato speciale (Messico, Grecia, America...) ed elzevirista del «Corriere della sera»; diresse con Roberto Longhi «Vita Artistica», collaborò alla “Enciclopedia Italiana” di Giovanni Gentile. Modello di lucidità critica e di perfezione formale, scrisse di arte (soprattutto della sua Firenze, il cui spirito antico capì e spiegò come nessun altro), di letteratura italiana (da Giovanni Pascoli a Dino Campana, che scoprì), di letteratura inglese (cultore di Kipling e dei “grandi romantici”, fu anche tra i primi in Italia a segnalare l’Ulisse di James Joyce) e persino di cinema. Trasformò l’impressione di viaggio, la nota, il bozzetto, la lettura occasionale, il “frammento” – fondendo in maniera esemplare forma e sostanza – in “prosa d’arte” (la raccolta Pesci rossi, 1920, è un classico). Accademico dei Lincei dal 1947, diresse con Natalino Sapegno la “Storia della letteratura italiana” che fu pubblicata da Garzanti negli anni Sessanta. Viaggiò molto, lesse ancora di più. Scrisse quanto basta.