Di ritorno dagli Stati Uniti, nel 1961, Goffredo Parise propose a Dino De Laurentiis di fare un film su un cimitero, a Los Angeles, in cui ci si poteva intrattenere, a pagamento s’intende, colle mummie dei propri defunti. Era rimasto colpito dal romanzo di Evelyn Waugh Il caro estinto (dal quale in effetti Tony Richardson avrebbe poi tratto un film di successo): vitriolica satira della sfera del business capace di espandersi «in ogni cosa e in ogni luogo». Il produttore, superstiziosissimo, non ne fece nulla ma c’era già, in nuce, il romanzo “pop” di Parise, Il padrone. E forse non si sbaglia a indicare un air de famille, con quel sarcasmo noir nordestino, di questa ardimentosa, et pour cause a suo tempo pochissimo apprezzata, satyra lanx di Giulio Mozzi. La quale, col convocare in forma appunto ironica i caposaldi del “caro estinto” in versi – gli opposti Sepolcri foscoliani e Coro di morti leopardiano – nonché ritmicamente (come segnalato da Giovanna Frene) la terza corona del Manzoni poeta, sconciava pure i monumenti della tradizione. I tredici capitoli del Culto dei morti sono quanto di più discontinuo, e discordante, si possa immaginare: evocando in nota un uso disinibito, e dunque dissacratorio, non solo del canone maggiore ma pure di quello minore, recente, della Neoavanguardia (dal venerato, e infatti mitobiograficamente ricordato, Antonio Porta al «defuntofono» di Manganelli): che non può non infastidire il lettore «lieto no, ma sicuro» del corretto uso dei «poeti morti». Nei modi quasi patafisici di una ricerca “sul campo” à la Ernesto de Martino, passando dalle reliquie elettroniche di Moana Pozzi ai bersagliamenti dai cavalcavia o dalle finestre della «Sapienza», invece Mozzi fa un uso della tradizione, qui, brutalmente materialistico: non diverso, per via omeopatica, dal “trattamento” reificato (la parola «cosa» è tra le più ricorrenti; cose vane, quelle dell’esistenza, nell’esergo dal barocco Ciro di Pers) che il nostro tempo, materialistico appunto e non si può dire quanto brutale, fa dei corpi, vivi e morti (ci si ricorda del «pamphlet politico-teologico» Corpo vivo e corpo morto. Eluana Englaro e Silvio Berlusconi, Transeuropa 2010). A partire da quel corpo – una volta inconsutile, forse – che è la memoria di chi non c’è più. Andrea Cortellessa
- 978-88-8419-885-3
- 2018
- €15.00
Giulio Mozzi è nato nel 1960. Abita a Padova. Ha pubblicato vari libri di racconti (il più recente: Sono l’ultimo a scendere e altre storie credibili, 2009 – in digitale, 2013), pamphlet, inchieste e il poema Il culto dei morti nell’Italia contemporanea (2000). Lavora – precariamente, as usual – nell’editoria e come docente di scrittura e di narrazione. Dal 2000 cura il «bollettino di letture e scritture» vibrisse: vibrisse.wordpress.com.