Paul Valéry
IN MORTE DI UNA CIVILTÀ
Saggi quasi politici
a cura di Massimo Carloni
Com’è potuto accadere che l’Europa, da prodigiosa macchina civilizzatrice, sia diventata nel XX secolo un efficiente ed implacabile dispositivo di distruzione di massa? Che l’uomo protagoreo, celebrato da Vitruvio e Leonardo, da misura di tutte le cose, sia ridotto oramai a mera risorsa produttiva? A questi e ad altri allarmanti interrogativi tenta di rispondere Paul Valéry quando nel 1919, all’indomani della Grande Guerra, pubblica La crise de l’esprit, il primo e il più celebre dei saggi «quasi politici» raccolti in questo volume, e che, sin dal suo apparire, suonò come un’orazione funebre della civiltà occidentale. Alternando lucidità e rigore d’analisi a visioni profetiche e drammatiche, Valéry delinea a tinte fosche le moderne condizioni di vita nella nuova epoca del «mondo finito», quel «perfetto e definitivo formicaio» dove l’uomo, grazie alla conquista dell’ubiquità virtuale, si troverà ad essere ovunque e in nessun luogo, fluttuante in una sorta di iperrealtà allucinata, indeterminata e imprevedibile nei suoi sviluppi. Per la prima volta nella storia il futuro è fuori controllo e senza volto. «Lo spirito è in grado di liberarci dalla condizione in cui lui stesso ci ha gettato?», si chiede uno sgomento Valéry. O la specie umana, inebetita dalla profusione di choc sensoriali, regredirà ad uno stadio animale, fino «all’incostanza e alla futilità della scimmia»? Una cosa è certa, con la diffusione su scala planetaria del proprio patrimonio scientifico, la civiltà occidentale ha perso l’egemonia culturale, politica ed economica a vantaggio di paesi con un peso demografico maggiore. Un tempo parte preziosa dell’universo terrestre, perla della sfera, cervello d’un vasto corpo, l’Europa, dopo aver elettrizzato il mondo, rischia di diventare una mera espressione museale e geografica, insomma «un piccolo capo del continente asiatico».
- 978-88-8419-863-1
- 2018
- €18.00
Paul Valéry (Sète 1871-Parigi 1945), discepolo di Mallarmé, amico di Gide e Pierre Louÿs, dopo i primi brillanti esordi poetici, rompe con i suoi idoli giovanili (Poe, Rimbaud, Wagner) per immergersi nello studio delle matematiche. Deciso a stabilire l’unità creatrice dello spirito, pubblica Introduction à la méthode de Léonard de Vinci (1895) e si crea una sorta di eroe intellettuale nel personaggio di Monsieur Teste (1896). Dopo un periodo consacrato alla politica e all’economia, Valéry ritorna alla poesia con La jeune Parque (1917), sintesi mirabile di astrazione e voluttà, a cui seguirà la raccolta Charmes (1922), dove spicca Le cimetière marin. Negli anni ’20 inizia suo malgrado un’intensa attività di saggista e conferenziere, che gli consente di spaziare dalla lingua alla pittura, dalla musica alla letteratura, dalla storia alle scienze (Variété, 1924-1944; Regards sur le monde actuel, 1931; Tel quel, 1941-1943). Autore di dialoghi più o meno socratici (Eupalinos ou l’Architecte, 1923; L’âme et la danse, 1923; L’idée fixe, 1932), e di balletti-melodrammi (Amphion, 1931; Sémiramis, 1934), Valéry ha lasciato diverse opere postume (Mon Faust, suo testamento spirituale) e soprattutto gli inestimabili Cahiers, vero e proprio laboratorio quotidiano del suo pensiero. Eletto accademico di Francia nel 1925, al seggio che fu di Anatole France, dal 1937 Valéry ha occupato la cattedra di poetica al Collège de France.
Massimo Carloni ha curato per i tipi di Aragno: Antoine Rivarol, Annali della Rivoluzione francese (2016); Baudelaire-SainteBeuve, Voi avete preso l’Inferno. Lettere e scritti 1844-1869 (2017); Paul Valéry, In morte di una civiltà. Saggi quasi politici (2018); Marcel Proust, Il visitatore della sera. Lettere a Paul Morand e a Madame Soutzo (2019).