Tra gli ultimi anni Sessanta e i primi Ottanta del Novecento, non sono rari gli scrittori italiani che hanno dato voce a un profetismo nero di indole apocalittica: Pasolini, la Morante, Satta, Volponi, Cassola, Morselli e Virgili. Le loro opere rispondono a strategie molteplici, che collaborano al tratteggio di un tempo ultimo, catastrofico. Si tratta di opere in larga misura precorritrici. Il malessere che pervade il ceto umanistico nazionale sta per trasmettersi a settori non esigui di opinione pubblica, vuoi in senso laico e antiprogressista, vuoi nei termini di un'eterodossia religiosa votata al disprezzo del creato. È la modernità di massa – entrata ormai nella sua fase matura – a motivare tanta desolazione prospettica: l'accesso delle moltitudini alla ribalta della storia, il supposto livellamento dei costumi, lo strapotere delle merci e della tecnica. Ciò che Pischedda descrive e valuta con occhio fermo sono pagine estreme, quasi sempre inclini a un buio sentire neoromantico.
- 978-88-8419-151-3
- 2004
- €15.00
Bruno Pischedda insegna Produzione letteraria nell’Italia otto/novecentesca presso l’Università degli studi di Milano. È stato direttore del mensile «Linea d’ombra» e collaboratore per l’inserto domenicale di «Il Sole 24 Ore». Tra i suoi saggi: La grande sera del mondo. Romanzi apocalittici nell’Italia del benessere (2004); Mettere giudizio. 25 occasioni di critica militante (2006); Scrittori polemisti. Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco (2011). È anche autore di due romanzi: Com’è grande la città (1996, 2008) e Carùga blues (2003).