Gian Giacomo Menon
POESIE INEDITE
1968-1969
a cura di Cesare Sartori; postfazione di Giacomo Trinci
Il volume raccoglie due gruppi di poesie, selezionati tra le migliaia di scritti che Menon ha lasciato. Scritti a distanza di poco più di un anno l'uno dall'altro, li accomuna il fatto di condividere il motivo ispiratore e il destinatario. Il primo gruppo, più consistente, è un canzoniere d'amore costituito da 103 poesie composte tra sabato 27 luglio e domenica 18 agosto 1968. Il poeta le inviò dattiloscritte alla destinataria, accludendo nella grande busta rossa utilizzata per la spedizione anche 5 lettere coeve manoscritte che ci consegnano il Menon meno conosciuto e più segreto rivelandoci il suo lato in ombra: più che messaggi, infatti, somigliano a pagine di un diario personale dove l'autore si espone mettendo a nudo le proprie inquietudini, debolezze e ossessioni interiori, ma proclamando in tal modo tutta intera (e qui la decisione di pubblicarle) la sua ferita, contraddittoria e sconfitta umanità, quella stessa che ce lo rende fratello. Il secondo gruppo è costituito da sole 7 poesie composte tra il 2 e il 13 ottobre 1969 e inviate alla stessa destinataria delle 103 precedenti.
- 978-88-8419-612-5
- 2013
- €12.00
Gian Giacomo Menon (Medea 1910-Udine 2000) nell’infanzia ha respirato un’aria contadina e cristiana. Dopo le lauree in giurisprudenza e filosofia a Bologna, dal 1939 al 1968 ha insegnato storia e filosofia nel liceo classico “Stellini” di Udine dove è stato un indimenticabile «costruttore di ponti» culturali. Ha scritto centomila poesie, ma non ha pubblicato niente o quasi. Individualista, solipsista, pragmatico, strenuo sostenitore della isostenia dei logoi, indicava così i suoi «segnali di vita»: casualità, nudità, paura. Conversatore brillante e frequentatore di salotti e circoli culturali, dal 1957 Menon abbandona ogni forma di vita mondana per una «decisione di assenza» che perseguirà con determinazione trascorrendo oltre metà della vita ‘nascosto’ in casa «a consumare un’amara invenzione», evitando di lasciare tracce di sé e ogni contatto pubblico escluso l’insegnamento. Per lui la poesia fu «ferita e farmaco insieme», baluardo e sollievo dal mondo; eppure, alla fine, scacco e impotenza. Tra il 1971 e il 2012 dieci compositori hanno scritto musiche ispirandosi ai suoi versi.