Luca Orlandini
RITORNO AGLI ELEMENTI
Un ghepardo a Lubecca – o a Danzica – con quella eletta eleganza, improvvisamente priva di preda. Qualcosa di così anomalo, imprevisto per lucentezza, da mozzare ogni reazione. Di fronte a un orso, a un lupo, il cittadino sa rispondere: con il monolite dell’urlo o con la pistola. Il selvaggio si può domare – l’Europa, in sé, è una museruola sull’eccedenza – lo stupefacente, no. Di fronte al ghepardo che trotta in una arcana città baltica si rimane in silenzio, per sbigottimento – la lingua è lacerata, non sa organizzare per grammatica quel lacerto che proviene dal sogno di un dio perduto, quando al posto del campanile c’era una quercia (perché ogni città, sappiate, è una trappola in vetro e marmo, ammirevole). L’unica cosa che si può fare, è implorare che ti uccida – ma il ghepardo, come una spirale di sabbia, colpa espiata in morsi, va via – trova indecente l’indecisione, la morte priva di corsa. Morire, in effetti, è il privilegio degli dèi predatori – gli altri, umani, sbattono nel limbo, mosche contro l’oblò dell’oblio. Chi ha visto un ghepardo in corsa ricorda l’esplosione gialla, il corpo che si allunga, in linea retta, e vola, per cespugli di secondi. Nessuna eleganza – virtù di bestie oziose, urtate dal desiderio di dominio – ma dedizione alla fame. D’altronde, come potrebbe una creatura così fragile abbattere una preda più grossa se non tramutandosi in chiodo, inchiodando l’altro al proprio incoercibile terrore? Infine, credo che questo libro sia il capolettera a un buco nero, la prima miniatura di una bibbia che è un geroglifico di cobra. Insomma, è il manuale per farsi uccidere dal ghepardo – o mutarsi in esso, vedendo di Lubecca l’ossario, del Baltico la Giurassica indecenza, quando perfino le pietre declinavano lamenti. Questa è una scrittura che scatta, che si tocca, priva dell’ordinaria didattica dei saggi che si tengono nelle cucce per cani alla cinghia – cioè, sul divano di casa. È un libro carnivoro. Meglio, è un libro che dichiara l’iride e ossida gli sguardi: attraversarlo significa assumere una verticale, imbracciare una pratica. Definire il muso del ghepardo tra le mani, poste a sfera, perché impariamo ad amarlo quando sferra i denti. C’è qualcosa di primordiale e primo in questi scritti, di chi abbia combinato ora l’alfabeto, spaccando in diagonale un iceberg. Ogni bizantinismo è obliato ma non in favore di una scrittura cartesiana, lucida, esatta. Semmai, si opta, qui, per il gorgo di Bisanzio, l’allucinazione d’oro medioevale, dove la Storia era fatta da un crocevia di chiacchiere e da sangue sui muri del palazzo, dove il prediletto era castrato e i primogeniti spediti in monastero, non prima di aver loro mozzato il naso e le orecchie e lottizzato il destino – il ritorno, sul trono, era, effettivamente, quello di un autentico mostro. Perciò, degno di onori, di inchini. In effetti, il modo ideale per leggere questo libro non è capire – trascinare, probabilmente. Va letto a voce alta, intendo, perché solo così si sente il fiume, profondo, che agita la cresta e non fugge il crepitio, poi l’ostensione delle foglie, il giaguaro bello come un tabernacolo. Questo libro, cioè, si sente: la parola torna a essere suono, ritmo indubitabile, al di là di ogni fattura esegetica, atto che precede la didattica di chi descrive, specifica, compara. Non è altro, d’altronde: chi scrive credendo di dire qualcosa è misero. Dunque è così che si legge Orlandini: un albero cresce, fino a sfidare la finestra dove, con serenità, aggiusti i conti, maneggi il computer o scrivi l’ennesimo capolavoro; l’albero sfonda la finestra, tu raccogli i vetri, specie di bava stellare, e non sai, ancora, di essere il frutto, l’invariata musica delle api, la preda. (Davide Brullo)
- 978-88-9380-086-0
- 2020
- €15.00
Luca Orlandini ha curato e tradotto in Italia le maggiori opere di Benjamin Fondane: Baudelaire e l’esperienza dell’abisso (2013), La coscienza infelice (2016), In dialogo con Lev Šestov. Conversazioni e carteggio (2017), usciti presso Aragno, e una prima edizione del Falso Trattato d’estetica. Saggio sulla crisi del reale (2014), poi pubblicato in una nuova edizione rivista e ampliata presso la Aragno (2021) . Sempre per i tipi di Aragno, ha pubblicato il saggio critico La vita involontaria. In margine al Baudelaire e l’esperienza dell’abisso di B. Fondane (2014) e Ritorno agli elementi (2020); nel 2017 ha curato la nuova traduzione, e prima edizione annotata criticamente, di L. Šestov, La filosofia della tragedia. Dostoevskij e Nietzsche.